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Guadagnino: non il corpo che ci manca, ma noi che manchiamo al corpo

Guadagnino: non il corpo che ci manca, ma noi che manchiamo al corpo

C’è una straordinaria frase di enrico ghezzi sul tempo che recita così: “non è il tempo che ci manca, ma siamo noi a mancare al tempo”. Ebbene, riflettendo sul cinema di Luca Guadagnino, riguardando i suoi film e ascoltando le sue interviste mi sono reso conto che per lui la formula potrebbe essere: “non è il corpo che ci manca, ma siamo noi a mancare al corpo”.

Nato come critico prima che regista, fan di Bertolucci e appassionato lettore di Lacan, Guadagnino ha sempre “goduto” del cinema, ecco perché a tratti può apparire “autistico”, non-parlante eppure espressivo, come l’oggetto piccolo (a) a cui si riferisce Lacan per indicare il godimento.

Per capire dove va a parare lo sguardo di Guadagnino basta a pensare a come ci racconta i punti di forza dello Spiderman di Sam Raimi:  “Spiderman 1 e Spiderman 2 sono due film che hanno un’idea di punto di vista, cioè un’idea di cinema, forgiano un immaginario, anche solo il principio estetico di saltare da un palazzo all’altro tramite la ragnatela, ti faceva vivere la fisicità di Spiderman, adesso i Marvel Movie hanno perso la fisicità” (da un’intervista rilasciata a BadTaste: https://www.youtube.com/watch?v=MIbHjdBLaII )

C’è una  frase geniale di Michel Focault riguardo al corpo che riteniamo appropriata citare: “il corpo, esterno  che si può esperire solo dall’interno, con questa sua invisibilità è l’origine delle utopie”.

Riconosciamo un film di Guadagnino (ma anche la serie “We are who are”) quando vediamo la telecamera “misurare” la distanza  vertiginosa tra la persona e il proprio desiderio, quando la mancanza non è vuoto ma eccesso (il surplus del godimento), quando i personaggi seppur incomprensibili ci emozionano comunque, quando come nella scena finale di “Bones and all”, quella pulsione che fino a quel  momento li aveva scavati, quella pulsione, quell’estremo bene e quell’estremo male, quell’insopportabile finalmente trova un senso.

Dice bene Deleuze quando commenta l’oggetto piccolo (a) di Lacan. “l’oggetto virtuale non  manca soltanto in rapporto all’oggetto reale cui si  sottrae, manca di qualcosa in sé, essendo sempre una metà di se stesso […] essa è là dove è solo a patto di non essere dove essere. Non è là dove la si trova  se non a condizione di essere cerca dove non è.” Ecco perché nella pulsione ci rendiamo conto che siamo noi a mancare al corpo.

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