“L’arte è una bugia che realizza la verità” – Pablo Picasso
Blob nasce nel 1989, dalle menti geniali dei critici Enrico Ghezzi e Marco Giusti. Erano gli anni del boom televisivo (doveva ancora arrivare internet) e il cinema si accingeva a nuove fasi. Il fermento è molto. L’intuizione, sviluppata anche grazie alle influenze deleuziane (i suoi due libri sul cinema sono dell’83 e dell’85 e a fine anni 80 si è già diffusa tra i critici cinematografici, stimolandoli a nuovi punti di vista sull’immagine-movimento) è di giocare con quella nemesi del cinema che sembra essere la televisione.
Pasolini denunciava come questa diventasse un vero e proprio ingombro in casa, capace di sostituire le relazioni umane, Fellini lottava contro la pubblicità che bloccava il continuum del film, chi per ragioni sociali, chi per altri artistiche, ma tutti in un modo o nell’altro esprimevano preoccupazione di fronte a questo nuovo mezzo prepotente e invasivo. Deleuze lo rileva chiaramente: con gli effetti speciali fini a sè stessi e la televisione, si tradisce il cinema, che si fonda sulla “durata”, non sulla presentificazione.
Frontale con il presente
La presentificazione giustifica l’assimilazione inconsapevole delle immagini, e il rischio di bersi qualsiasi chiave di lettura ci venga proposta sopra alle immagini. Come se davvero le immagini avessero bisogno di una “messa in onda”, come se fosse più importante far vedere E.T. su italia1 il Mercoledi 11 sera, invece che E.T. stesso. Blob decostruisce e smaschera questa ingenua, ma subdola, tecnica della tv. Attraverso un montaggio spericolato, che ogni tanto sembra logico, in altri momenti taglia sequenze senza motivo, come a suggerire che è il flusso televisivo a non avere senso, ci mostra finalmente le immagini per quel che sono, ci mette letteralmente di fronte ad esse, senza più mediazioni. Nel vero senso della parola; “media” deriva proprio da “mediazione”, in quanto i media si propongono come dei mediatori di realtà.
Ghezzi ci tiene a sottolineare come l’immagine in realtà non ci appartenga, pure quando pensiamo di dominarla. Le immagini-movimento sfuggono all’interpretazione di qualcuno, al pensiero logico-rappresentativo. Da qui l’intuizione deleuziana di Ghezzi: trasformare la presentificazione dell’immagine della televisione in un’immagine-durata che gioca con il non-detto della tv: l’impossibilità di afferrare l’istante. Le immagini nei media sono date per scontate ma proprio per questo se tolte dal montaggio, dalla scaletta, da chi vuole appunto fermarle, ra-ppresentarle, rivelano le proprie potenzialità, il proprio mondo pieno di visti e non visti. “Le connessioni tra le immagini sono infinite, prendete un’immagine rigorosissima di Bresson e poi uno spezzone di varietà televisvo e per chissà quale alchimia un giorno trovano un legame” racconta Ghezzi durante una sua lezione a dei giovani studenti di cinema.
In sintesi lo straordinario risultato di Blob è l’incredibile spazio di respiro che offre nel semplice mostrare un susseguirsi di immagini e sequenze, in quanto lascia immaginare qualsiasi connessione possibile allo spettatore, liberandolo così dal giogo di una postura narrativo/visiva artificiosa e mistificante.